16 aprile 2012

Dedicato a Carlo Petrini

NB: © tratto dalla mia tesi di laurea "Le parole che non ti ho detto. Emozioni, valori e archetipi esclusi dalle trasmissioni televisive sul calcio". Tutti i diritti riservati.
1.2.3. Petrini e “il calciatore suicidato”: nella storia recente del calcio italiano c’è un dramma che è rimasto senza verità. È la morte violenta del giocatore Donato Bergamini, centrocampista del Cosenza (allora in serie B), trovato cadavere davanti alle ruote di un camion la sera del 18 novembre 1989. Una morte, fatta passare per suicidio, che è un vero giallo ambientato nel mondo falso e dorato del “dio pallone”, con personaggi che sembrano venire fuori da un film.
Petrini descrive il suo lavoro così: «Come ex giocatore che ha conosciuto bene la faccia nascosta del calcio, in questo libro ho tentato di chiarire alcuni dei retroscena della morte di Bergamini: mi sono studiato gli atti della magistratura, ho fatto ricerche e ho intervistato un po’ di persone, anche a Cosenza. Insomma, ho fatto quello che nessuno dei giornalisti sportivi ha mai fatto: loro sono troppo impegnati a leccare il culo del potere pallonaro e dei suoi divi, per occuparsi di un giocatore di serie B morto ammazzato come un cane»[1].
Il gioco deve andare avanti. Qualunque cosa succeda. E’ in base a questa logica che ci troviamo sommersi da misteri, da dubbi, da sospetti. E’ per questo che un mondo nato attorno ad un gioco, quello del calcio, è diventato uno dei più brutti, pericolosi e incivili. Troppi interessi sono in gioco, capitali investiti, società quotate in borsa, impegni da rispettare non sempre collegati con l’allegria che il pallone dovrebbe riuscire a darci. 
Bergamini aveva 27 anni, emiliano, giocava a Cosenza da cinque anni. La sua morte fu archiviata come suicidio dopo un’indagine più che superficiale, durante la quale il camion che lo avrebbe investito non fu posto sotto sequestro, non venne fatta l’autopsia al cadavere del calciatore, gli abiti che Bergamini indossava sparirono, le testimonianze ambigue o contraddittorie non vennero valutate. Tutto doveva essere dimenticato al più presto, le voci che parlavano di un giro di droga, di scommesse clandestine, di partite comprate e vendute, di criminalità organizzata, dovevano essere soffocate. Gli strani personaggi che, da anni, giravano attorno al Cosenza calcio dovevano rimanere nell’ombra, serviva a tutti, evidentemente, che non si scoprisse troppo su quello che stava accadendo. 
Dalle ricerche, dalle indagini e dalle interviste di Petrini emerge il ritratto di un ragazzo che amava il calcio, di un professionista serio e appassionato, anima della sua squadra, “troppo ingenuo e pulito perché qualcuno dei suoi compagni potesse pensare di coinvolgerlo” in un giro di partite truccate. 
Le interviste al padre del calciatore, Domizio, al compagno di squadra Michele Padovano e al massaggiatore del Cosenza calcio Giuseppe Maltese, non riescono a far luce sui dubbi che tutta la vicenda fa sorgere. 
Un mistero che, probabilmente, non verrà mai risolto e che si aggiunge a mille altri, frutto di un sistema perverso in cui “contano soltanto lo show e i miliardi” e che Petrini, con il suo libro, tenta almeno in parte di scardinare. 
In tutti i libri dell’ex calciatore, a suo tempo coinvolto nello scandalo del calcio scommesse degli anni ’80, si raccontano i mali del pallone, tumori già presenti negli anni ’60: le denunce di Petrini sono dirette e mai velate, ma di smentite non ne sono mai arrivate. Non si risparmiano nomi e cognomi e si cita tutto ciò che nel calcio non si dovrebbe dire né si dovrebbe sapere.
L'ex calciatore si fa giornalista e investigatore, mostrandoci ancora una volta come il mondo del “dio pallone” nasconda talvolta sotto la sua sottile superficie dorata, uno spesso strato di fango che, accusa Petrini, nessuna grande firma sportiva ha mai avuto la voglia o il coraggio di cominciare a scalfire...


[1] C. Petrini, Il calciatore suicidato, Kaos Edizioni, Milano 2001.

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