05 dicembre 2006

Il tifo: una malattia contagiosa

Ieri ho partecipato ad un incontro con Marco Dell’Acqua, studioso del tifo italiano, nell’ambito del corso di Processi Creativi di Ideazione dei Prodotti Mediali, tenuto da GianPaolo Parenti [io ho il coraggio delle mie azioni e attribuisco paternità senza appropriarmene indebitamente, come in passato, N.d.R.].
Da questo incontro ho tratto alcune informazioni interessanti, che vado a presentare:
  • nel 2005-2006 il parco appassionati di calcio consta di più di 25 milioni di persone e di queste ben il 10.2% è definibile come “tifoso accanito”;
  • la scelta della squadra di calcio non dipende (se non in minima parte) dalle influenze familiari, bensì dal panorama calcistico: un nato negli anni ’90 sarà più facilmente legato a squadre vincenti in quegli anni, come Milan o Juventus, piuttosto che trasportato dal tifo paterno;
  • l’affermazione precedente implica che squadre come Bologna e Torino sono caratterizzate da un tifo molto maturo e non sanno acquistare nuove leve, se non in casi eccezionali;
  • moltissimi italiani hanno una seconda squadra del cuore in Serie B o C e con la promozione della stessa in A (o in B) i rapporti di forza cambiano: ad esempio, molto probabilmente, se l’anno prossimo il Napoli sarà promosso nella massima serie, aumenterà il numero dei suoi tifosi (o meglio di chi la indica come prima squadra), a scapito di altre squadre che verranno “declassate” a “squadre simpatiche”.

Dall’incontro sono anche venuta a conoscenza di una ricerca qualitativa, fatta nella prospettiva di una possibile futura fiction sul mondo del calcio, di cui vi parlerò in un prossimo post.

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